Niente è vero fino a prova contraria
Uno dei temi che cerco di seguire è far sì che le mie convinzioni si avvicinino sempre di più alla verità. Desidero, cioè, che la mia rappresentazione mentale del mondo sia il più possibile aderente alla realtà. È un obiettivo che trovo soddisfacente in sé ed è correlato alla voglia di apprendere. Ma al di là del puro gusto di sapere, tendere alla verità è anche vantaggioso in pratica. Anzi, mi riesce difficile pensare a qualcosa di più utile. Quando sto per attraversare la strada, guardo a sinistra e a destra per sapere se ci sono veicoli in arrivo. Conoscere la situazione in cui mi trovo è essenziale se voglio arrivare dall’altra parte senza sfracellarmi sotto un camion.
Si inserisce in questo discorso una regola che mi sono dato e che cerco di seguire quanto più religiosamente posso: assumere che niente sia vero fino a prova contraria. Quello che intendo è che dovrei evitare di credere a una qualsiasi affermazione a meno che non ci siano buone ragioni per farlo. Scetticismo, per dirlo in una parola. Una credenza che poggia su buone ragioni — cioè una credenza ragionevole — ha più probabilità di essere accurata.
Non sempre è facile tenere un approccio simile, soprattutto considerata la forte propensione umana a credere a quello a cui si vuole credere, ma è almeno una direzione positiva in cui andare. E comunque, in cambio di una certa dose di impegno, si può rendere questo comportamento sempre più naturale e automatico — un’abitudine.
Qualcuno si sarà accorto che la definizione che ho dato di “credenza ragionevole” è un po’ vaga. Quand’è che delle ragioni sono buone? Quand’è che posso dire di avere prove sufficienti a supporto di ciò che penso?
Innanzitutto, se proprio voglio essere stronzo, posso dubitare di ogni cosa, cadere nel Solipsismo, e arrivare a mettere in discussione il tessuto stesso della realtà. Questa strada non mi sembra utile da seguire, né concretamente percorribile. Posso anche accettare filosoficamente di non poter essere sicuro di nulla in maniera assoluta, ma non posso agire di conseguenza. Sono costretto ad assumere che la realtà sia reale e a poggiare i miei pensieri e le mie azioni su un insieme di credenze che ritengo vere (o quantomeno accurate abbastanza). Non ho alternative, anche volendo.
Poi, tenendo a mente l’assunto pragmatico che la realtà esista, posso decidere quanto scettico voglio essere. In teoria, neanche questa sarebbe una vera scelta perché c’è una regola precisa che stabilisce come dovrei tarare il mio livello di confidenza a fronte delle informazioni disponibili: il teorema di Bayes. Questo teorema ci dice matematicamente come revisionare le probabilità che assegniamo a una credenza a fronte delle evidenze che incontriamo. Per quanto ne so, non esiste nessuna indicazione più esatta.
Purtroppo, ricorrere a Bayes nella vita di tutti i giorni è poco pratico, al limite dell’irrealizzabile. Usare il teorema richiede la conoscenza delle probabilità alla base dei fenomeni in esame, probabilità che quasi mai abbiamo a disposizione. Quindi la domanda rimane, anche se leggermente diversa: nei casi in cui non posso applicare la regola di Bayes, come capisco se ho prove sufficienti? La mia risposta è che si può ricorrere a euristiche che, per quanto mai esatte, sono comunque meglio di niente. Alcuni esempi di domande che mi posso fare:
- Ciò che credo è falsificabile? Esiste, almeno in teoria, un’osservazione che mi costringerebbe a metterlo in discussione?
- Le prove a supporto sono replicabili sperimentalmente? Se avessi le giuste conoscenze e attrezzature, potrei indagare quelle prove?
- Cosa dice la scienza in merito? C’è una teoria che incontra il favore della gran parte della comunità scientifica? Ci sono teorie contrastanti? C’è un dibattito aperto?
- Qual è la fonte delle prove? Ha dimostrato di essere consistentemente onesta e affidabile? È neutra o si trova in conflitto di interessi?
- I ragionamenti alla base della credenza sono razionali o presentano salti logici e fallacie?
- Sono soggetto a qualche bias o pregiudizio che mi spinge verso una certa posizione? Sto facendo delle assunzioni ingiustificate?
Rispondere a domande simili dà un’indicazione di quanto la credenza sia fondata. In generale, ritengo sia utile farsi delle basi di razionalità, pensiero critico, e metodo scientifico. Per il resto, quando possibile, la difesa migliore rimane lo studio degli ambiti specifici che ti interessano. Più aumenta la tua conoscenza di un argomento e più diventa facile valutare affermazioni in proposito.
Un importante “corollario” che deriva, più o meno, da tutto questo discorso è la questione dell’onere della prova. Devo evitare di credere a qualsiasi affermazione fino a prova contraria, ma chi è responsabile di portare quella prova? Semplice: chi fa l’affermazione. Conduciamo un’esperimento mentale per vedere perché è questo il caso.
Immaginiamo che io stia discutendo con Pino Panino e che egli affermi X, dove X può essere qualsiasi proposizione, tipo: “questa bevanda potenzia il sistema immunitario”, “la terra è piatta”, “dio esiste”, “fuori c’è una temperatura di 28°”, “il ghiaccio è meno denso dell’acqua”, “la simultaneità è relativa”, etc etc etc.
Per semplificare l’esempio immaginiamo X = “il nucleo della luna è fatto interamente di formaggio”. Credere o non credere? Facciamo finta che l’onere della prova non sia di Pino Panino ma che sia mio dovere confutarlo. Secondo queste regole, assumendo che io non abbia prove contro, devo credere che la luna abbia un nucleo formaggioso.
Ma ecco che quando la discussione si sta per chiudere, entra in scena Bina Bananina, che ha una forte opinione in merito e ci tiene a esprimerla. Bina è sicura di sé e dice che il nucleo della luna è fatto interamente di cipolle. Come prima, assumendo che io non abbia prove contro, devo arrendermi e crederle. Non potendo confutare nessuno dei due, sono costretto a dare ragione a entrambi. Ma come posso farlo se le due affermazioni si contraddicono a vicenda? Non posso, non è logicamente possibile.
Credere senza prove porta a contraddizioni di ogni tipo, dato che si può asserire X e non-X con la stessa facilità. L’onere della prova, quindi, spetta a chi afferma e la posizione più razionale, in mancanza di buone ragioni, è il rifiuto della credenza.
Attenzione che ciò non significa né che non possa scegliere di indagare da me, né che la persona abbia necessariamente torto — anche l’affermazione opposta andrebbe dimostrata. Significa solo che sono legittimato a non credere se non ci sono buone ragioni e non ho nessun dovere di portare prove contro. “Non puoi dimostrare il contrario” è una diretta violazione di questo principio e non prova nulla. È un argomento fallace. L’assenza della prova non è prova dell’assenza. Solo chi non ha buone ragioni da offrire usa un artificio retorico simile dato che, se ne avesse, porterebbe quelle invece di tentare di scaricare i suoi doveri sull’interlocutore.
Tenere a mente dove è situato l’onere della prova è importante se attribuisco valore alla verità. Mi spinge a minimizzare il numero di convinzioni false che ho e mi aiuta a non farmi fregare, soprattutto da chi trarrebbe guadagno dalla mia ingenuità: un influencer sponsorizzato, il venditore di un corso su come diventare ricchi, un politico alla ricerca di voti, lo scrittore di un libro su una dieta miracolosa, un attivista che raccoglie donazioni. Magari ha anche ragione, ma non prima di averlo dimostrato. Nel frattempo, mi riservo il diritto di esercitare una sana dose di scetticismo.