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Imparare a divertirsi *duro*

Imparare a divertirsi *duro*

Io non so divertirmi.

Beh, probabilmente neanche tu, ma iniziamo da me.

Quando dico che non so divertirmi non intendo che non ho idea di come farlo. Intendo che il modo in cui poi lo faccio non è ottimale.

Che significa ottimale?

Quando facciamo acquisti siamo guidati dal rapporto qualità/prezzo. Esigiamo la migliore qualità che i nostri soldi possono comprare. Se ho bisogno di uno smartphone e sono disposto a spendere tra 500 e 600€, cercherò il migliore in quella fascia.

Allo stesso modo possiamo definire un rapporto divertimento/tempo.

In una vita ideale, mi piacerebbe esigere il divertimento maggiore che posso ottenere nel tempo che ho a disposizione. Se ho 2 ore per svagarmi, vorrei spenderle nell’attività a godimento maggiore.

Nella vita reale ciò non succede.

Per anni e anni ho buttato vagonate di ore sui social. Era solo uno dei tanti modi in cui potevo passare il mio tempo, ma è stato quello che ne ha risucchiato di più. Però i social non forniscono vero svago. Apri, scrolli il feed, guardi le storie, mandi un tweet.

Ti stai divertendo? Sei contento? Stai godendo?

No.

Il tempo passa, ma in una maniera ben lontana dall’essere ottimale.

Come si spiega questo comportamento?

La teoria

Da bravo overthinker ho elaborato una teoria in cui inquadrare la situazione.

Partiamo da un esempio con cui nessuno farà fatica a empatizzare: la relazione con le cose da fare.

Immaginiamo che il mio obiettivo prioritario di questa settimana sia di scrivere un articolo. Coscientemente so che lavorare all’articolo è l’attività col più alto rapporto rilevanza/tempo.

Peccato che poi mi ritrovi a fare tutt’altro. Controllare le email, aggiornare il tema del sito, sistemare i template su Notion, controllare le statistiche della newsletter. Cose che magari sono pure rilevanti in una certa misura, ma non quanto scrivere il dannatissimo articolo.

Perché non solo io, ma tutti noi ci comportiamo così?

Perché, per natura, scappiamo dalla fatica. Scrivere l’articolo sarà anche il modo migliore di usare il mio tempo, ma è un’attività che mi appare impegnativa e che quindi tenderò a procrastinare.

Dopo esserci uniti in comunione grazie all’empatica sofferenza da to-do list, ricolleghiamoci al divertimento. Anche qui succede qualcosa di simile.

Non tutto lo svago richiede lo stesso impegno. Andare a scrollare Twitter mi appare molto meno impegnativo di iniziare un film da 2 ore, quindi tenderò a evitare il film e aprirò Twitter. Anche se poi su Twitter ci perdo ben più di 2 ore.

E non finisce qui, perché questo comportamento problematico tende ad aggravarsi nel tempo. Quando ripeti la stessa scelta un numero sufficiente di volte, essa diventa un’abitudine. Andare sui social diventa il default. Non ti chiedi più se per caso valga la pena di fare qualcos’altro.

E tutto questo — reazione all’impegno, abitudine, default — succede a prescindere dal livello di godimento dello svago in questione. So che mi diverto di più sui videogiochi che sui social ma, negli ultimi anni, ho comunque passato molto più tempo sui social.

Pensandoci un attimo, mi sono reso conto che posso definire una scala personale di passatempi, ordinata per impegno.

  1. Social
  2. Serie TV
  3. Libri
  4. Videogiochi
  5. Film

Per me è molto più facile iniziare una puntata di Adventure Time che mettermi a giocare a Final Fantasy IX.

Da notare che questa scala è orientativa (oltre che incompleta). Una serie TV con episodi da 10 minuti apparirà meno impegnativa di una con episodi da 50. Un social “puro”, tipo Instagram o Twitter, sarà meno impegnativo di uno di intrattenimento, tipo Twitch o YouTube.

Il punto fondamentale, comunque, non è avere un ordine preciso, ma essere cosciente dell’insensatezza della situazione.

C’è anche un fattore di “colpevolezza” a guidare questo comportamento.

Videogiocare mi appare più impegnativo e quindi mi sento più in colpa a “buttare tempo” davanti alla console. Soprattutto se quel giorno non sono stato produttivo quanto avrei voluto.

Alla fine, però, il tempo passa comunque, anche per gli svaghi che sembravano più veloci. Sarebbe stato meglio mettermi l’anima in pace, darmi la libertà di rilassarmi, e “impegnarmi” a divertirmi.

E tu?

Tutto questo delirio in parte è auto-psicoanalitico, ma in parte è rilevante anche per te.

Qualche giorno fa, in un gruppo Telegram con i miei amici, uno di loro diceva di essere sollevato del mio distacco dal vortice oscuro di Twitch.

L’argomento social è stato caldo in questa cerchia negli ultimi tempi, quindi non poteva non nascere un discorso.

Il nucleo della mia teoria

Il nucleo della mia teoria

La parte rilevante di questa storia è che, quando ho menzionato la mia relazione con il problema dell’impegno, un altro mio amico si è reso conto di aver sperimentato lo stesso fenomeno.

Niente di quello che facciamo o pensiamo è unico, ma ogni tanto ce lo scordiamo. Processi di questo tipo avvengono tutti i giorni nella testa di miliardi di persone. Ognuno avrà la sua scala personale di passatempi e ricaverà un divertimento diverso da ognuno di essi. Ma tutti avremo la tendenza naturale a rifugiarci dove l’impegno sembra minore.

Dobbiamo imparare a divertirci duro.

Come?

Non ne ho idea, my friend. Però posso raccontare cosa ho fatto e cosa voglio fare.

Cosa ho fatto

Come per tante altre cose, prendere consapevolezza è stato il primo passo e il più importante. Quando sai che questo istinto esiste, puoi anche accorgertene e decidere come agire piuttosto che seguirlo passivamente.

Sembra facile a parole, ma nei fatti non lo è stato.

In particolare, anche se ero consapevole della situazione, ho continuato a buttare gran parte del mio tempo libero sui social, fintanto che li ho avuti sempre disponibili. Ho rimandato e rimandato alcune serie che volevo vedere sebbene ogni sera passassi ore su Twitch.

In questo caso, la soluzione è stata il distacco completo. Oltre a essermi reso conto che nessuno di questi servizi fosse vitale e che il mondo non sarebbe imploso a causa della mia assenza, ho guadagnato montagne di tempo da poter spendere in passatempi migliori.

Un approccio così drastico non è sempre necessario, ma è efficace per rompere una dipendenza. Se andare sui social è il mio default, sarà più facile controllarmi se li taglio completamente.

Per il resto, non ho ancora fatto molto altro, ma ho intenzione di rimediare.

I prossimi passi

Ho notato che il vuoto lasciato dai social è stato colmato dallo svago successivo in lista: le serie TV. Ha senso. Elimini l’attività col minore attrito e cadi nella successiva.

In tutta onestà non mi lamento più di tanto, dato che, come dicevo, ce ne sono un po’ che volevo recuperare. Ma la situazione è comunque non ideale. Che succederà quando queste serie finiranno? Prenderò a guardarne altre a caso per inerzia? Sarebbe lo stesso identico problema.

Vorrei, per esempio, dedicare più tempo ai videogiochi. È paradossale perché vedo le offerte, mi viene voglia di comprarli e mi devo trattenere. Poi però non ci gioco. Ne ho una caterva da completare. C’è quel cavolo di Final Fantasy IX che avrò iniziato e abbandonato sì e no 9001 volte nella mia esistenza e che voglio finire una buona volta per tutte.

Anche se questa voglia è reale e cosciente, nella vita di tutti i giorni domina l’istinto. Come abbiamo capito, non posso fidarmi di questo automatismo. Quindi devo rendere intenzionale il mio svago.

Ci sono almeno tre strategie complementari che ritengo possano aiutare:

  • Stabilire il default
  • Allenare la consapevolezza
  • Creare routine

Stabilire il default

Stabilire il default significa sapere rispondere alla domanda: Qual è l’attività che voglio fare in mancanza di alternative?

Esempio: leggere manga.

Serve a rimpiazzare, con una decisione cosciente, ciò che altrimenti sarebbe istintivo, cioè l’attività a minore impegno apparente.

Il mio consiglio è di scegliere qualcosa di non troppo impegnativo, per evitare di creare barriere di ingresso. Se scelgo “giocare a basket” come svago di default, non sarà facile sostituirlo a una scrollatina di social quando ho 10 minuti liberi.

Allenare la consapevolezza

La consapevolezza è un po’ il primo risultato che questo post spera di ottenere. Conosci il meccanismo → ti puoi rendere conto quando è in atto.

La consapevolezza si allena con la pratica. Più ti accorgi del tuo comportamento e più diventi consapevole e più diventa facile accorgertene.

Se mi ritrovo a stare su Netflix solo per “passare il tempo”, posso fermarmi e chiedermi se quello sia il modo migliore per investire i brevi attimi di relax che mi spettano. A quel punto mi tocca decidere quale sia un divertimento più duro e soddisfacente (o usare il mio default).

Come sperimentato in prima persona, la consapevolezza non è sufficiente, soprattutto quando ancora non allenata. È per questo che bisogna agire anche sugli automatismi, creando routine.

Creare routine

Creare routine prevede una piccola dose di amore per il te futuro e consiste nel pianificare, a grandi linee, cosa farai in certi momenti regolari della tua giornata o settimana.

Esempi di routine che ho già stabilito da tempo:

  • Dopo aver mangiato, dedico parte della mia pausa pranzo alla lettura.
  • Dopo lavoro esco a camminare per almeno un’ora e ascolto podcast.
  • Di sera, mi obbligo a staccare entro le 23:00 da qualsiasi attività non ricreativa. Di solito mi metto a letto e leggo un libro o guardo una serie TV.

Avere delle routine ti libera dall’onere di dovere decidere cosa fare e automatizza il comportamento.

E allora potrei stabilire che, dopo aver finito le serie TV che avevo intenzione di guardare, il relax serale sia dedicato ai videogiochi. Appena completo Adventure Time riprendo Final Fantasy IX.

Sai che c’è? Mi sembra un buon piano.


Come si è capito, per me questo è ancora un processo in divenire. So solo che la teoria ha qualche base e le strategie potrebbero aiutare. Sei stato avvisato.

Ma soprattutto, alla fine di questo post e dopo più di 1600 parole, mi chiedo se sia normale che io sia riuscito a farmi una mega sega mentale su come divertirmi.

Boh.

Ma va bene così.