La mia dipendenza: come disintossicarsi dai social
Ho una confessione da fare. Ho una dipendenza da smartphone.
Eccola in un’immagine. Se fosse un quadro lo intitolerei La forma della dipendenza.
Da tempo uso un’app che monitora come utilizzo lo smartphone. In particolare, il grafico qua sopra mi mostra quanto è durata, nell’arco di una settimana, ogni sessione di utilizzo.
Se uso l’app YouTube per 25 minuti, questa sessione figurerà nella banda 20-30 min.
Non serve la lente di ingrandimento per notare che il grafico è mostruosamente sbilanciato: la maggioranza delle sessioni (1666!) dura meno di un minuto. Significa aprire e chiudere un’app in pochi istanti.
Non escludo che ci siano casi legittimi per sessioni così brevi, ma sono sicuro che la maggior parte di quelle sessioni sia manifestazione della mia dipendenza.
Spesso mi ritrovo a prendere il cellulare, sbloccarlo, aprire Twitter, Instagram, o Telegram e richiudere dopo qualche secondo. Tra l’altro, vista la frequenza di questo comportamento, non troverò quasi mai niente di nuovo da vedere. Eppure le controllo (quasi?) compulsivamente.
Che i social creino dipendenza non è una nuova scoperta. Se ne è però tornato a parlare dopo che Netflix ha rilasciato un documentario poeticamente intitolato The Social Dilemma.
Averlo visto mi ha ispirato a riflettere sul mio utilizzo dello smartphone e scriverci su qualcosa. Questo articolo è ciò che ne è venuto fuori. 👀
Perché è un problema
Qualcuno potrebbe guardare il grafico qua sopra, leggere la mia spiegazione, e pensare:
Embè? Anch’io mi comporto allo stesso modo. Che problema c’è?
Grazie di averlo chiesto, my friend. Vediamo qualche effetto.
Effetti sulla salute mentale
I social ci espongono a un mondo artificioso in cui è facile non sentirci all’altezza degli altri. Ciò che troviamo sui social non è una rappresentazione accurata della realtà.
Ogni contenuto racconta solo una parte della storia: ciò che chi l’ha pubblicato vuole far vedere. Non condividiamo le ansie, le paure, i problemi, o la faccia che abbiamo appena svegli. Condividiamo i successi, i viaggi, le gioie, e le occasioni in cui ci sentiamo al nostro meglio.
Come se non bastasse, molti contenuti sono ritoccati proprio per apparire meglio di come non siano.
Della nostra vita, invece, vediamo tutto, sempre. Viaggi, successi, e momenti luminosi, ma anche — e soprattutto — ogni ombra, insuccesso, e dispiacere, senza filtri né ritocchi.
Quando guardiamo le vite degli altri attraverso la lente dei social, vediamo una versione distorta non indicativa della realtà. È come guardare una di quelle confezioni di merendine con su stampata una foto perfetta e poi aprirla per ritrovarsi davanti qualcosa che ci assomiglia solo alla lontana.
Ma non dico niente di nuovo. Sappiamo che le cose stanno così. Però, istintivamente, continuiamo a confrontare la nostra vita con realtà fasulle di cui vediamo solo le parti migliori.
Non stupisce che insoddisfazione nei confronti del proprio corpo, ansia, e depressione siano alcuni degli effetti negativi evidenziati da una ricerca condotta dalla Royal Society for Public Health.
Tempo perso
Come dicevo in un altro post, spesso ci sembra che ci manchi il tempo non perché non ne abbiamo, ma perché lo sprechiamo in attività non prioritarie. Stare sui social è un’attività che non definiremmo prioritaria, ma che poi diventa un buco nero succhia-tempo.
Ogni notifica da un social rappresenta la priorità proprio di quel social, inteso come l’azienda che lo possiede.
Come fanno prodotti come Facebook, Instagram, YouTube a valere miliardi di dollari se non paghiamo per usarli?
Semplice: li paghiamo, ma non in denaro. Li paghiamo con la moneta del tempo e dell’attenzione. Risorse scarse e preziose, in quest’epoca più che in passato.
Scegliere, consciamente o meno, di spendere 3, 4, 5 ore al giorno in questo modo, significa rubarli al resto della nostra vita.
Calo della produttività
Spendere attenzione sui social non comporta solo una perdita di tempo.
Più ci distraiamo e più diventa facile continuare a distrarci. Siamo sempre meno capaci di concentrarci e rimanere concentrati per lunghi periodi: forse una delle abilità più rilevanti di quest’epoca piena di knowledge worker.
Piuttosto che stare concentrati, controlliamo compulsivamente lo smartphone. Invece che dedicarci a quello che stiamo facendo, ci sporgiamo di continuo verso il cellulare per controllare se c’è qualcosa di nuovo. Magari un like, magari un commento, magari un messaggio. Magari una notifica qualsiasi. ❣️
E più ci comportiamo in questo modo più peggiora la nostra produttività, visto che diventa sempre più difficile svolgere e portare a termine lavori di concetto (e farlo bene).
La nostra testolina non è fatta per il multitasking. Ogni volta che dividiamo l’attenzione, ne perdiamo un po’. Quando ci distraiamo il nostro cervello è costretto a fare context switching, un cambio di contesto.
Il context switching non è gratis perché tornare al livello di concentrazione precedente richiede tempo. Più eravamo concentrati, più tempo servirà per rientrare in quello stato.
E la produttività ci saluta.
La prossima volta che stai per prendere il cellulare fermati un attimo e rifletti su quello che stai provando. Osserva quell’istinto che ti spinge a cercare il cellulare. Quell’abitudine inconscia. Quella voglia automatica, interna, viscerale.
Fermati qualche secondo e chiediti se ritieni accettabile provare questa pulsione per lo smartphone.
La cosa bella (“bella”) è che ciò succede non solo nei momenti di produttività, ma anche in quelli di relax. Non riusciamo più neanche a goderci pienamente lo svago. Nemmeno mi ricordo quand’è stata l’ultima volta che ho guardato un film, dall’inizio alla fine, senza controllare nel frattempo il cellulare.
Impoverimento delle relazioni sociali vere
Se è vero che i social network ci aiutano a rimanere in contatto anche quando fisicamente sarebbe difficile o impossibile, è anche vero che stanno sostituendo interazioni sociali che impossibili non sarebbero.
Perché fare lo sforzo di incontrarsi quando si può aprire Facebook per comunicare, o anche solo spiare ciò che fanno gli altri?
Sui social abbiamo creato surrogati di relazioni che usiamo in sostituzione di quelle reali. Non ho dati alla mano per affermarlo, ma sono convinto che questi due tipi di relazioni non siano equivalenti e che le interazioni virtuali siano meno soddisfacenti.
Durante la nostra storia evolutiva, abbiamo sviluppato meccanismi affettivi che ci hanno stretto in gruppi. Tali meccanismi sono stati tarati in un mondo in cui le relazioni erano sempre fisiche.
Come se non bastasse, anche quando l’interazione fisica sopravvive, non sfugge all’effetto della dipendenza.
Pensa a quelle volte che eri con gli amici, la famiglia, la ragazza o il ragazzo, i colleghi, e ti sei fermato un attimo per realizzare che eravate tutti in silenzio, ognuno assorto dal proprio smartphone.
Giusto per fare un esempio, uno degli intervistati in The Social Dilemma è Tim Kendall che è stato direttore della monetizzazione in Facebook e poi presidente in Pinterest. Quindi non esattamente l’ultimo arrivato.
Kendall ammette che il lavoro che portava avanti di giorno lo rendeva vittima nel tempo libero, anche se sapeva cosa succedeva “dietro le quinte”. Non riusciva a staccarsi dallo smartphone quando invece avrebbe dovuto spendere tempo con la sua famiglia.
Perché nasce la dipendenza
Perché diventiamo dipendenti dai social?
Risposta breve: perché sono stati progettati apposta.
Queste piattaforme sono miniere d’oro, non per chi li usa, ma per chi li possiede. Non sono diventate così a caso, per un puro scherzo del destino. Non è una dipendenza apparsa spontaneamente stile cocaina. Le foglie di coca non sono state progettate a tavolino con l’obiettivo di indurre le persone a drogarsi continuamente.
Diverso è quando parliamo di aziende multimiliardarie, con dipendenti altamente qualificati che vengono pagati proprio per trovare modi per tenerti sulla piattaforma.
I social network sono ingegnerizzati per essere quello che sono. Non sono spuntati in natura da un albero cresciuto accanto a un ruscello in un prato tra girasoli e farfalline. 🌻🦋
Ogni volta che viene inserita una nuova funzionalità, che viene modificata l’interfaccia, o che viene cambiata qualsiasi cosa possa avere effetto sull’esperienza utente, i risultati di questo cambiamento vengono misurati. Dopo quella modifica gli utenti spendono più tempo sulla piattaforma? Cliccano più spesso sulle pubblicità?
Per rispondere a queste domande e scegliere se mantenere un cambiamento, vengono condotti esperimenti chiamati A/B test.
In un A/B test si divide la popolazione (gli utenti) in due gruppi: A e B, anche chiamati controllo e trattamento. Il gruppo A continua a vedere l’app com’era, mentre il gruppo B vede la nuova modifica.
Si tiene in piedi questa configurazione per un periodo di raccolta dati. Alla fine di questo periodo c’è una fase di analisi da cui si evince se il cambiamento ha avuto impatto positivo.
Se per esempio Instagram decide di modificare il feed e iniziare a mostrarti anche post di profili che non segui, esegue un A/B test per capire se questo cambiamento va a favore dei suoi obiettivi o meno.
Il gruppo A non noterà nessun cambiamento: continuerà a vedere solo post di profili seguiti. Allo stesso tempo, il gruppo B inizierà a trovare nel suo feed anche post di profili non seguiti.
Con questo esperimento su utenti reali, Instagram sarà in grado di valutare, in modo scientifico, se gli utenti del gruppo B in media sono rimasti più tempo sulla piattaforma rispetto a quelli del gruppo A.
Per inciso: questo tipo di sperimentazione non è prerogativa dei social, ma ve la potete aspettare da qualsiasi azienda tecnologica che abbia la capacità di condurla. Anche dalla stessa Netflix che vi propone il documentario.
Disintossicarsi
Combattere la dipendenza e disintossicarsi significa riguadagnare ore, attenzione, e benessere. Significa riacquistare la capacità di scegliere consapevolmente cosa fare col proprio tempo, piuttosto che disperderlo senza accorgersene. Significa reimparare a dirigere la nostra attenzione dove ci serve: nello studio, nel lavoro, nelle relazioni con gli altri, e persino nello svago.
Probabilmente non pensi di avere bisogno di una ripulita, non credi di essere dipendente. Pochi lo pensano.
Spesso si ha l’illusione di avere il controllo della situazione. Lo dicono anche tanti alcolisti. Ma c’è una differenza: l’alcolista deve combattere contro una sostanza non senziente, mentre tu contro aziende multimiliardarie che pagano profumatamente i loro ingegneri per tenerti sulle loro piattaforme.
Chissà chi ha più chance di vincere questa battaglia. 🤔
Pensate a Tim Kendall citato sopra. Persino lui finiva tra le vittime, benché conoscesse sia le aziende, sia le tecniche impiegate, meglio della quasi totalità degli altri utenti.
Acquisire consapevolezza
Come si dice spesso, prima di poter risolvere un problema bisogna rendersi conto di averlo. Se ancora non sei sicuro del tuo comportamento, puoi analizzare qualche dato e farti un’idea di come usi lo smartphone. Ormai esistono strumenti per farlo sia su Android sia su iOS.
Su Android c’è Benessere Digitale, di Google stessa. Se non è compatibile col tuo dispositivo puoi provare invece Action Dash. Io le ho installate entrambe. Lo screenshot di inizio articolo viene da Action Dash.
Su iOS, invece, tra le impostazioni del dispositivo c’è una voce intitolata Tempo di Utilizzo.
Queste app mostrano una serie di dati sulle proprie abitudini, come per esempio:
- Il tempo di utilizzo totale e per app
- Il numero di notifiche totale e per app
- Il numero di volte che il dispositivo viene riattivato/sbloccato
Dare un’occhiata a queste metriche ti aiuta a intuire l’impatto che gli smartphone hanno sulla tua vita.
Agire
Dopo essersi convinti a cambiare, si può passare a decidere quanto e come. Ci sono vari livelli di rottura.
Scoraggiare l’utilizzo
Impostare il telefono in bianco e nero
Utile se vuoi staccarti dallo smartphone a una certa ora della sera. Uno schermo privo di colori è molto meno attraente.
Sia Android che iOS danno la possibilità di impostare lo schermo in bianco e nero. Per esempio, Benessere Digitale permette di configurare una fascia oraria in cui ciò avviene automaticamente. Io ho impostato dalle 23:30 alle 7:00.
Nascondere le icone
L’app di Instagram è sulla tua homepage e basta un tap per aprirla? Aggiungi un po’ di attrito: prendila e buttala lontano.
Da iOS 14 le applicazioni installate si possono spostare su una schermata a parte, la libreria app. Invece su Android alcuni launcher (come quello che uso io) permettono di nasconderle completamente.
Effettuare il logout
Effettuare il logout, come per il punto precedente, serve per aggiungere attrito. Se ogni volta che apri Twitter devi rifare il login, avrai l’occasione di pensare a quello che stai facendo e sarà più facile rompoere l’automatismo.
Se lo fai, ricordati di disabilitare il login veloce che molte di queste app permettono (chissà perché hanno il login veloce… Chissà!).
Limiti temporanei
Limiti alle app
Le stesse applicazioni per controllare quanto usi lo smartphone (Benessere Digitale, Action Dash, Tempo di Utilizzo), permettono anche di impostare limiti di utilizzo. Io, per esempio, ho impostato come limiti giornalieri: 15 minuti per Instagram e 15 per Twitter.
Limiti nei momenti di concentrazione
Un’altra strategia che utilizzo, consiste nell’impostare un timer durante il quale non toccare lo smartphone. Se sto lavorando o studiando, voglio rimanere concentrato su quanto devo fare e non distrarmi per controllare il telefono.
Oltre a potere usare qualsiasi timer, esistono app che rendono il distacco ancora più semplice. Io uso Forest. Pianto un alberello virtuale che cresce se non uso il telefono o appassisce altrimenti. In più tolgo il telefono dalla circolazione e lo butto dove non posso vederlo: lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
Un’alternativa simile a Forest è la Zen Mode per dispositivi OnePlus che blocca totalmente il telefono. Un po’ estremo per i miei gusti, ma ho un amico che lo usa proprio perché costringe al distacco totale.
Abbandono
Temporaneo
Prenditi una pausa. Almeno una ogni tanto. Disinstalla quell’app e fatti una settimana, due settimane, un mese di pausa.
Forza, non succede niente, la tua FOMO è ingiustificata.
Un po’ di detox cerebrale.
L’ho consigliato per le notizie in questo articolo e vale allo stesso modo per i social.
Completo
Stadio finale: l’abbandono totale. Non credo ci sia molto da spiegare qua.
Io ho abbandonato Facebook circa 76000 anni fa e mi manca tanto quanto mi manca il gelo invernale di quando vivevo a Torino: zero assoluto.
Non capisco nemmeno perché si continui a usarlo, visto che ormai puzza di discarica a cielo aperto.
Going forward
Tirando le somme: non consiglio di diventare eremiti e vivere senza social, smartphone, e tecnologia. Sono il primo ad amarla. L’invito è a iniziare a riflettere sul rapporto che ci intratteniamo.
In teoria la tecnologia dovrebbe essere uno strumento al servizio di quello che vogliamo fare. In gran parte lo è. Però, come nel caso dei social, uno strumento smette di essere tale se è lui a controllare noi e non viceversa.
È tempo di riappropriarci del timone.
PS
Qualche mese dopo questo articolo ho deciso di abbandonare i social e ne ho parlato in una newsletter: La mia disintossicazione.