Come si fa ad avere un'opinione?
Tra paradosso socratico ed effetto Dunning–Kruger, ormai il problema della consapevolezza della conoscenza ha acquisito lo status di meme — almeno nella mia testa. Non solo il sapere non è mai definitivo o completo, ma più si apprende e meno si pensa di essere preparati. Sembra logico: più sono (schifosamente) ignorante e meno strumenti avrò per valutare la mia conoscenza; più imparo e più sarò cosciente di quanto ancora non so. Se voglio essere intellettualmente onesto, che io abbia studiato molto o molto poco un argomento, devo sempre tenere a mente la limitatezza di quanto ho appreso. Da queste premesse nascono i miei recenti problemi a formare opinioni.
Pare che per l’essere umano sia istintivo imporre giudizi alla realtà, nel senso che inventare valutazioni è una componente del nostro sistema automatico. Dal punto di vista evolutivo, mi pare che il discorso fili se si considera che l’abilità di giudicare velocemente il mondo esterno possa essere vantaggiosa: leone incazzato = cattivo → scappo. Quindi se scrivo che ho problemi a formare opinioni, non intendo dire che non riesco ad averne, perché non averne è impossibile. Avrò sempre un parere su qualsiasi cosa, seppur istintivo e irrazionale. Quello che intendo è che ho difficoltà a formulare opinioni che mi sembrino sensate, credibili.
Di recente leggevo The Perils of Perception, libro in cui si cerca di guardare a ciò che le persone pensano, valutare quanto queste convinzioni si distaccano dalla realtà e chiedersi perché. Alla base dell’argomentazione ci sono i risultati di un insieme di sondaggi volti proprio a capire cosa pensiamo (o cosa diciamo di pensare). Per ogni questione che l’autore cita, viene chiesto al lettore di rispondere da sé, per testare la propria percezione prima di scoprire i risultati del sondaggio e la risposta più attinente ai fatti. Per esempio viene chiesto di stimare la percentuale di immigrati nella popolazione del proprio paese o quante volte i propri concittadini abbiano fatto sesso nelle ultime settimane. A domande di questo tipo — e qui spunta il problema delle opinioni — mi veniva da rispondere: “ma io che turbocappero ne so?”. Certo, ti posso dare una stima: sarà basata su istinti e su quanto ho visto nella piccola fetta di mondo che è entrata a contatto con la mia piccola fetta di esistenza. Ma come potrei mai ritenere quella stima credibile, dato che si fonda sul quasi–nulla? Per avere un’opinione che aspira a essere sensata, dovrei prima almeno analizzare i dati oggettivi.
Un altro episodio recente mi è capitato guardando una live del canale WesaTwitch in cui, tra le altre cose, si accennava all’argomento del salario minimo. Mi ero già imbattuto qualche volta in questo tema e mi era capitato di leggere opinioni diverse in contesti diversi. Per esempio, ne avevo sentito parlare in merito all’idea di alzarlo negli Stati Uniti, ma anche in discussioni nostrane sulla proposta di introdurlo in Italia. C’è stato un tempo in cui tendevo a essere d’accordo con l’idea di salario minimo, e poi un tempo in cui tendevo a essere contrario. Oggi, così come mentre ascoltavo quel pezzo di live, sorge nella mia testa lo stesso dubbio di sopra, e non so che opinione avere su un tema così complesso. Meglio due lavoratori che guadagnano 50 o un lavoratore che guadagna 100 e un disoccupato? Il salario minimo avvantaggerebbe il lavoro in nero? Come si relaziona con e influenza la diversità geografica di offerta lavorativa e retribuzione? Porterebbe a fallimenti e disoccupazione o stimolerebbe consumi ed economia? Dovremmo lasciare libere le persone di scegliere lavori sottopagati o eliminare la scelta? Abbiamo già regolato altri problemi in questo senso — per esempio non puoi diventare legalmente schiavo, neanche se vuoi —, ma dove tracciamo il confine tra eccesso di paternalismo e giustizia?
Non mi aspetto vere risposte ai dubbi specifici che ho elencato (ma se ne avete, fatemelo sapere). Il caso di The Perils of Perception e il tema del salario minimo sono solo pretesti. Servono a evidenziare un problema che, secondo me, ti ritrovi a vivere se decidi di essere umile nelle tue ambizioni di verità e ragione, poiché esisti in un mondo che è fottutamente complesso e in cui le risposte più oneste spesso si limitano a: “dipende”, “forse”, e “non ne ho la più pallida idea”. Suonano inconcludenti perché lo sono, oltre che poco attraenti. Se guardi in giro, invece, vedi certezze gridate con arroganza. Assoluti. Visioni semplici e senza paranoie. Lo sai che è bello. Sapere di sapere e pensarti nel giusto. Dire qualcosa pretendendo ragione, lasciando il torto agli altri che non capiscono. No. Onestà quindi umiltà, se essere onesti è la scelta.
Come si fa ad avere un’opinione?
Si cerca di diventare più pragmatici (più di quanto il mio cervello vorrebbe essere). Provare a ragionare sulla base delle conoscenze e delle informazioni che si hanno, dedurre conclusioni, e rimanere sempre disponibili alla smentita. Quando conoscenze e informazioni non sono buone abbastanza, ci si rassegna all’assenza dell’opinione, dato che gli istinti non fanno parte di questo gioco. È tutto imperfetto e parziale, ma è comunque più credibile di qualsiasi assoluto non negoziabile.