Appunti da marzo 2022
Iniziamo una nuova serie — o quantomeno quella che spero di riuscire a fare diventare una serie. Ogni mese pubblicherò una serie di appunti relativi a ciò che ho scoperto e imparato. Mi è venuta voglia quando ho sentito Mr RIP dire che usava fare una cosa simile sul suo blog. Mi forza a riflettere su quello che ho fatto, mi aiuta a ricordare di più, mi spinge a scrivere qualche nota per il mio Zettelkasten, e diventa contenuto per il blog. Quindi, perché no?
La considero l’erede spirituale della serie “Cosa Ho Imparato Oggi” — ormai privata — che durò ben 10 giorni sul mio canale YouTube. Chi avrebbe mai detto che tirare fuori un video al giorno sarebbe stato pesante.
Il menù di oggi:
- Rationality: From AI to Zombies
- Dentro alla filosofia: Platone e Aristotele
- Game Theory II
- How to Understand Arguments
- La YouTube Atea
Rationality: From AI to Zombies
Rationality: From AI to Zombies è una collezione di essays che l’autore, Eliezer Yudkowsky, ha pubblicato su LessWrong una montagna di anni fa. Gli articoli sono organizzati in cinque libri, ognuno con un suo sottotema, ma sempre attorno a un nucleo centrale: la razionalità. A marzo ho letto il secondo e il terzo libro.
Book 2: How to Actually Change Your Mind
Chi non dice di avere la mente aperta? Dubito di avere mai incontrato qualcuno che si vantasse del contrario. Eppure, come nella stragrande maggioranza dei casi quando si parla di razionalità, è proprio quel contrario a essere quasi sempre vero. La nostra natura umana è meno razionale di quanto vorremmo, ed essere disposti a cambiare idea è facile solo a dirsi. Come intuibile dal titolo, i testi di questo blocco trattano di come dovremmo aggiustare le nostre credenze di fronte a nuove informazioni e degli ostacoli lungo il percorso. Di seguito alcuni dei pezzi che mi hanno colpito.
Not every change is an improvement, but every improvement is necessarily a change. You cannot obtain more truth for a fixed proposition by arguing it; you can make more people believe it, but you cannot make it more true. To improve our beliefs, we must necessarily change our beliefs. — Rationalization
Il cuore del bisogno dell’apertura mentale: ogni miglioramento è necessariamente un cambiamento. Non essere disposto a cambiare ciò che credi equivale a non essere disposto a migliorare ciò che sai. Generalizzando oltre l’ambito della conoscenza: non puoi migliorare senza cambiare.
John Kenneth Galbraith said: “Faced with the choice of changing one’s mind and proving that there is no need to do so, almost everyone gets busy on the proof.” And the greater the inconvenience of changing one’s mind, the more effort people will expend on the proof. — The Proper Use of Humility
Una tendenza che si ricollega a quanto dicevamo sopra. Non solo cambiamo idea con difficoltà, ma siamo anche disposti a impegnarci per non farlo. Quando valutiamo nuove evidenze cerchiamo di adeguarle a quello che già pensiamo, piuttosto che analizzarle obiettivamente.
Yet it is widely believed, especially in the court of public opinion, that a true theory can have no failures and a false theory no successes. — Update Yourself Incrementally
Quando guardiamo a una teoria, tendiamo a pensare che basti una evidenza contraria per demolirla o una evidenza a supporto per validarla (e valutiamo con standard diversi a seconda di quello che vogliamo credere). Ma in un mondo incerto abbiamo solo teorie vere o false probabilisticamente. Una buona teoria può avere punti deboli e una cattiva teoria può trovare qualche conferma.
Whenever someone exhorts you to “think outside the box”, they usually, for your convenience, point out exactly where “outside the box” is located. Isn’t it funny how nonconformists all dress the same… — The “Outside the Box” Box
Questo pezzo mi è capitato sotto gli occhi in un periodo in cui avevo notato un comportamento simile. Trovo interessante che vari sedicenti liberi pensatori in cui mi sono imbattuto condividano la stessa visione del mondo. Mi viene quasi il sospetto che la loro libertà di pensiero consista nell’adeguarsi al pensiero di un gregge diverso da quello che criticano.
Living with doubt is not a virtue—the purpose of every doubt is to annihilate itself in success or failure, and a doubt that just hangs around accomplishes nothing. — Cultish Countercultishness
Un dubbio segnala una mancanza di conoscenza e ha senso come scintilla di curiosità che ti spinge a risolverlo. Non è sempre possibile arrivare alla risoluzione in breve tempo, ma questa resta l’obiettivo. Un dubbio è inutile da solo e men che meno funziona come vanto, a dispetto di chi lo considera tale.
Book 3: The Machine in the Ghost
Non sono sicuro di aver capito come riassumere il tema di questo terzo libro, ma credo che si possa sintetizzare dicendo: significato. Si parla di evoluzione e di come questa sia stupida, priva di qualsiasi scopo; si parla di mente e di “sistemi guidati da obiettivi”; si parla di linguaggio, forse il modo principe in cui gli esseri umani si scambiano significati.
The key realization is that there is no Evolution Fairy. There’s no outside force deciding which genes ought to be promoted. Whatever happens, happens because of the genes themselves. — An Alien God
Guardando alle ali di un uccello, verrebbe da pensare che ci sia stato uno scopo dietro. Volare sarebbe conveniente, quindi sviluppi le ali. Ma uno dei punti forti della teoria dell’evoluzione per selezione naturale, diversamente dall’idea creazionista, è che spiega la diversità della vita senza tirare in ballo alcuno scopo. La realtà si muove all’opposto di quanto pensiamo intuitivamente: sviluppi una caratteristica che ti dà un vantaggio, quindi la caratteristica si propaga. Il vantaggio è la causa della selezione, non lo scopo. (Se vi interessa l’argomento vi consiglio Il gene egoista di Richard Dawkins.)
Please note: evolution does not explain the origin of life; evolutionary biology is not supposed to explain the first replicator, because the first replicator does not come from another replicator. Evolution describes statistical trends in replication. The first replicator wasn’t a statistical trend, it was a pure accident. — The Wonder of Evolution
Una considerazione che ora mi appare banale, ma su cui non ricordo di avere mai riflettuto esplicitamente. L’evoluzione per selezione naturale si fonda su un meccanismo di replica. Prima che esista un’entità in grado di replicarsi — potenzialmente una grossa molecola in un brodo primordiale — non c’è evoluzione.
If a tree falls in the forest, and no one hears it, does it make a sound?
Albert: “Of course it does. What kind of silly question is that? Every time I’ve listened to a tree fall, it made a sound, so I’ll guess that other trees falling also make sounds. I don’t believe the world changes around when I’m not looking.”
Barry: “Wait a minute. If no one hears it, how can it be a sound?” — Disputing Definitions
La famosa domanda a inizio citazione sembra misteriosa, divisiva, e irrisolvibile, ma lo è solo in superficie. Se, come sembra fare Albert, intendiamo “suono” come vibrazioni dell’aria allora la risposta è “sì”. Se, come sembra fare Barry, intendiamo “suono” come esperienza uditiva allora la risposta è “no”. La domanda è un quesito sulla definizione della parola e non solleva nessun disaccordo sulla sostanza. Un invito a ricordarsi di fare attenzione, quando si discute, di cosa si sta discutendo: contenuto o superficie?
Simon Funk’s online novel After Life depicts (among other plot points) the planned extermination of biological Homo sapiens—not by marching robot armies, but by artificial children that are much cuter and sweeter and more fun to raise than real children. — Superstimuli and the Collapse of Western Civilization
Chiudo questa sezione così. Che sia questo il modo in cui ci estingueremo? Non sembra poi così implausibile.
Dentro alla filosofia: Platone e Aristotele
Ho iniziato ad ascoltare questo podcast qualche tempo fa, quando ho deciso che volevo colmare un po’ della mia schifosa ignoranza di storia della filosofia. In teoria, l’avrei già studiata al trienno di liceo scientifico ma, in pratica, per circa due anni ho fatto poco e niente, complici insegnanti non proprio stellari. Comunque, marzo è stato dominato dall’ascolto delle puntate su due dei filosofi greci più influenti: Platone e Aristotele.
Sentendo le idee dei pensatori antichi ho un forte istinto a muovere obiezioni ogni tre parole. Certe dottrine sembrano ingiustificate, pure invenzioni. Ma devo ricordarmi che la conoscenza disponibile 2500 anni fa era una frazione infinitesima di quella a cui abbiamo accesso oggi. Il liceale medio ora sa forse più di quanto tutta l’umanità del tempo. Obiettare è facile in uno scontro così impari (ma è comunque un buon esercizio).
Platone si era inventato tutto un sistema magico che prevedeva che le essenze delle cose, le idee, risiedessero nel loro mondo a parte, l’iperuranio. In questa visione, noi — inteso come tutto ciò che esiste nella realtà materiale — saremmo solo imitazioni delle idee e l’arte sarebbe imitazione di imitazione… uno schifo. Per non parlare poi del sistema politico che si era figurato: un comunismo diviso in tre classi, senza mobilità sociale, con i filosofi a dirigere (conveniente eh, Platone?), i guerrieri a controllare, e il resto dei poveri mortali bollati come produttori destinati a eseguire. Ma non vi scaldate, anche nascere filosofo o guerriero avrebbe avuto i suoi contro. Le prime due classi, infatti, avrebbero condiviso tutto: proprietà, partner, figli. Che spasso.
Tra le cose che ho apprezzato, invece, c’è il mito della biga alata, che con qualche aggiustamento funziona da metafora del conflitto interiore tra razionalità e istinti. Nel mito, l’anima è un carro guidato dalla ragione ma trainato da un cavallo bianco che tira verso la retta via, e un cavallo nero che tira in direzione opposta.
Aristotele c’era andato un po’ più calmino di Platone con le essenze e le aveva portate dentro alle cose. Encomiabile che almeno rifiutasse di inventare tutto un altro piano di esistenza… almeno non per le idee. La metafisica è importante per Aristotele, che anzi “dimostra” l’esistenza di dio con un ragionamento celebre: Tutto ciò che si muove è mosso da qualcos’altro che si muove. Visto che questo qualcos’altro si muove, dev’essere anch’esso mosso da qualcosa. Ma se continuiamo così cadiamo in un regresso all’infinito. Quindi serve un motore immobile, che è dio. Funziona come dimostrazione! Cioè, funziona se facciamo finta di non vedere i salti logici, il che la rende buona quanto altre dimostrazioni dell’esistenza di dio. La nota positiva è che il dio aristotelico è piuttosto minimalista per i nostri standard. Funge da motore ed è pensiero di pensiero. Si fa i cazzi suoi. Non gli frega niente di me, di te, o di quello che la gente fa quando si incontra sotto le coperte.
Tra le parti che ho trovato più interessanti c’è il contributo alla formalizzazione della logica classica (qualcuno ha detto sillogismi?) e il discorso sul giusto mezzo, quando non lo si estremizza immaginando che consista nel trovare il punto matematicamente a metà tra due estremi.
Game Theory II
Tra gennaio e febbraio ho deciso che volevo imparare un po’ di teoria dei giochi e mi sono buttato sul corso di base su Coursera. Finito quello, ho iniziato il successivo e l’ho completato a marzo. In questo corso si esaminano vari tipi di meccanismi, come i sistemi di votazione e le aste, e li si analizza dal punto di vista della teoria dei giochi.
Una cosa a caso che ho imparato è l’asta di Vickrey (o “al secondo prezzo”). È un’asta in busta chiusa, cioè in cui ogni partecipante scrive privatamente la propria offerta e la fornisce al banditore. Nessun offerente quindi sa cosa hanno scritto gli altri. Vince l’asta chi fa l’offerta più alta ma — e qui c’è il twist — il vincitore non paga quanto ha scritto (che sarebbe il prezzo più alto), ma il secondo prezzo più alto. La cosa che sorprende è che si dimostra che la strategia dominante sta nel dire la verità, cioè scrivere in busta la propria offerta reale.
Un’altra dimostrazione che mi ha colpito è quella che prova che è impossibile creare un sistema di votazione con esiti non paradossali. Ma forse questo l’avevo studiato a febbraio.
How to Understand Arguments
Dopo aver finito con la teoria dei giochi e influenzato da Rationality: From AI to Zombies, logica aristotelica, e video sull’ateismo (vedi sotto), mi è salita la voglia di esplorare qualcosa relativo ad argomentazione e pensiero critico (ben consapevole che quest’ultimo non si impara nel vuoto per problemi di transfer). Ho iniziato il primo corso di una “specializzazione” su Coursera: How to Understand Arguments. Devo dire la verità, le lezioni e i quiz sono partiti un po’ banali e a tratti cringe, però alla fine ho apprezzato dove si è andato a parare. Si parla di cosa sono gli argomenti (che potremmo anche tradurre ragionamenti), che scopi hanno, come riconoscerli e come analizzarli.
Tanto per citare una nozione che spesso confonde chi si approccia alla logica classica, si parla della differenza tra validity e soundness. In italiano si possono tradurre entrambi con “validità”, ma hanno significati diversi. Un argomento è strutturalmente o logicamente valido (validity) quando la conclusione è necessariamente vera se le premesse sono vere. Un argomento è valido nel senso di soundness quando oltre a essere strutturalmente valido, le premesse sono effettivamente vere.
La YouTube Atea
Ultimo grande argomento che ha caratterizzato il mio marzo: l’ateismo. Non so bene come, ma a un certo punto mi sono ritrovato immerso nel vortice della YouTube atea. Credo che tutto sia partito da uno dei video che avevo menzionato nella scorsa newsletter. Anyway, poco importa.
Da questa escursione ho appreso un po’ di cose. Innanzitutto ho scoperto che c’è della confusione nelle definizioni di ateismo e agnosticismo. Dal giro che mi sono fatto ho capito che una categoria di posizioni che ero solito definire agnostiche rientrano nel calderone dell’ateismo. In sostanza: teista = crede in almeno un dio; ateo = rifiuta la credenza in qualsiasi dio. In questa visione l’agnosticismo è, in generale, la posizione filosofica che afferma che non sia possibile conoscere una determinata cosa. Quindi, chi si professa agnostico rispetto all’esistenza di un qualsivoglia dio è di fatto ateo, perché non crede in un dio. Insomma, seghe mentali sulle parole.
Un’altra cosa che ho imparato, soprattutto guardando qualche (anche più di qualche) video di The Atheist Experience, è che gli argomenti a favore dell’esistenza di un dio sono quasi sempre gli stessi e che quasi mai, anche se funzionassero, basterebbero a dimostrare un dio personale e pieno di attributi come quello cristiano (vedi dimostrazione di Aristotele sopra che, al più, dimostrerebbe l’esistenza di un principio). Tra le esposizioni ricorrenti c’è il God of the gaps (dio dei vuoti). È la fallacia per cui si asserisce l’esistenza di un dio a fronte della mancanza di conoscenza. Non so cosa sono i fulmini → allora esiste Zeus. Non so come si è originato l’universo → allora esiste un dio. Il problema è che non sapere qualcosa non implica in nessun modo che il soprannaturale esista.
Al di là delle cose che ho imparato, e al di là del fatto che mi sono trovato quasi sempre d’accordo con le argomentazioni su The Atheist Experience, non sono stato particolarmente entusiasta del modo in cui certe volte Matt (uno degli host) tratta chi chiama, soprattutto quando l’interlocutore è pacato e non ha fatto niente per meritarsi risposte stizzite. In ogni caso, vale la pena di guardarsi almeno qualche video. Fatevelo un giretto.
Per il resto, direi che così si conclude il mio resoconto di marzo. È venuto molto più lungo di quanto avevo previsto ma è stato un esperimento interessante. Ci rivediamo, con questa serie, il mese prossimo (🤞).