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Umanità e dintorni: 15 insegnamenti da 3 libri che ho letto nel 2020

Umanità e dintorni: 15 insegnamenti da 3 libri che ho letto nel 2020

Quest’anno ho letto meno di quanto avrei potuto (e voluto).

Dal mio GoodReads

Dal mio GoodReads

Però di libri interessanti ce ne sono stati.

Ho letto qualcosa di tecnico, riguardante il mio ambito principale (informatica). Ho ripreso a leggere romanzi, come accennavo nella scorsa newsletter. Ho letto soprattutto saggistica, come da qualche anno a questa parte.

Tra i migliori libri questi tre —Homo Deus, Menti Tribali, Il Cigno Nero— che, seppur diversi, sono accomunati da un tema a cui sono molto interessato: l’essere umani.

Pieni di spunti interessanti, troppi per un articolo. Prima o poi mi deciderò a pubblicare tutte le note dei libri che leggo (edit: ho iniziato! Le trovate qui), ma nel frattempo ecco 15 insegnamenti da questi tre libri.

PSA
Questo articolo non è fatto per essere necessariamente letto tutto insieme, visto che è una collezione di idee. Scegliete liberamente le sezioni che più vi attirano.

Homo Deus

Ridurre le sensazioni piacevoli per essere più felici

In classico spirito edonista siamo portati a pensare che per favorire la felicità bisogni velocizzare l’influsso di sensazioni piacevoli.

Il problema di questo tipo di approccio è che ogni volta che soddisfiamo un desiderio ne arriva presto un altro a prendere il tuo posto. Quest’altro desiderio, con tutta probabilità, sarà anche più difficile da soddisfare.

In maniera quasi paradossale, per essere più felici è meglio rallentare il flusso di sensazioni piacevoli e imparare ad apprezzare ciò che abbiamo già ottenuto e raggiunto. Volere sempre di più ci rende sempre più miserabili.

I bisogni istintivi non scompaiono anche se inutili

Gran parte della nostra storia evolutiva si è svolta in un ambiente che era molto diverso da quello in cui viviamo oggi. Praticamente tutte le nostre caratteristiche biologiche, compresi i bisogni istintivi, si sono evolute in quell’ambiente per farci sopravvivere abbastanza da riprodurci.

Anche se oggi non viviamo più sotto la dura legge della natura e molti di questi bisogni biologici non sono più necessari, comunque continuano a esistere ed esercitare la loro influenza sulla nostra vita perché non c’è stato il tempo evolutivo affinché scomparissero.

Siamo attratti per esempio dagli zuccheri perché sono un modo facile per ottenere energia. 🍮 Ma nella società in cui viviamo oggi, quantomeno per chi ha la fortuna di vivere ben oltre la soglia della povertà, non c’è più il problema di trovare cibo.

Finiamo quindi per ingozzarci. Siamo sempre più grassi. Il bisogno non è scomparso, anche se non serve più e anzi, spesso, ci danneggia.

Un altro esempio è la fuga istintiva dalla fatica. Serviva per farci scappare da dolori e sofferenze perché erano minacce alla sopravvivenza. Oggi invece ci ostacola quando dovremmo impegnarci verso uno qualsiasi degli obiettivi che vorremmo raggiungere. Ne ho già parlato in un articolo.

Imparare a convivere con l’essere umani significa anche scendere a patti con questi bisogni e capire come gestirli.

Realtà intersoggettiva

Siamo soliti pensare che esistano solo due tipi di realtà: soggettiva e oggettiva.

La realtà soggettiva comprende tutto ciò che esiste solo come esperienza personale. I nostri pensieri e giudizi fanno parte di questo tipo di realtà.

La realtà oggettiva comprende tutto ciò che esiste a prescindere dalle nostre interpretazioni e dai nostri pensieri. Le banane fanno parte di questo tipo di realtà.

Quando qualcosa non rientra nella sfera soggettiva allora concludiamo che sia appartenente a quella oggettiva. Esiste però un grande insieme di cose che non appartengono a nessuna di queste due, ma piuttosto alla realtà intersoggettiva, a cui ho già accennato nella scorsa newsletter.

La realtà intersoggettiva è costituita da tutto ciò che esiste solo perché come comunità vi attribuiamo del significato, per esempio gli stati, le aziende, il denaro.

L’esistenza di stati, aziende, e denaro non dipende dai pensieri del singolo individuo, ma al tempo stesso non è nemmeno ancorata alla realtà oggettiva. Queste entità non sono tangibili e non possono prescindere dagli esseri umani. Esistono solo perché come collettività abbiamo deciso di credere che abbiano un significato.

Certo, esiste il territorio che appartiene a uno stato. Certo, esistono le persone che costituiscono un’azienda. Certo, esistono dei pezzi di carta che chiamiamo denaro.

Ma il territorio, entità oggettiva, non è lo stato. Le persone, entità oggettive, non sono l’azienda. I pezzi di carta, seppur tangibili, non sono il denaro.

Una banana esiste, non importa cosa credo io o il resto degli esseri umani. 🍌 Il concetto di stato invece smetterebbe di esistere se, come collettività, smettessimo di attribuirvi un significato.

Non tutti i parametri di valutazione sono creati uguali

Prima di esprimere valutazioni dovremmo riflettere su quali siano i migliori parametri su cui basarsi, perché a seconda dei parametri che scegliamo la valutazione può cambiare drasticamente.

In particolare a volte valutiamo certi sistemi sulla base di parametri fittizi inventati nei sistemi stessi.

La scuola 🏫

Per esempio, in origine non esistevano i voti e la scuola nasceva con l’obiettivo di formare gli studenti e aprirgli la mente. Con l’introduzione dei voti, però, la situazione è mutata e l’obiettivo è diventato sempre di più quello di prendere buoni voti.

Ma, come tutti sappiamo, prendere un buon voto non implica né che lo studente abbia realmente capito la materia, né che la sua mente sia più aperta.

Se valutiamo la bontà di una scuola sulla base dei voti che gli studenti prendono otteniamo valutazioni falsate. Il voto è solo un’invenzione e non riflette accuratamente l’impatto educativo della scuola, che invece è ciò che dovremmo misurare.

Il periodo industriale 🏭

Un’altra occorrenza piuttosto significativa di questo fenomeno è costituita dalla valutazione del periodo industriale.

Siamo soliti pensare che esso sia stato un periodo migliore, per esempio, del periodo preistorico dei cacciatori-raccoglitori. Un parametro di valutazione che conduce a questa conclusione è la produttività. Non c’è dubbio che la produttività dell’età industriale fosse molto più alta di quella preistorica.

Ma siamo sicuri che la produttività sia una buona metrica su cui basare il giudizio?

La stragrande maggioranza delle persone che vivevano nel periodo industriale se la passava peggio del cacciatore-raccoglitore medio. Aveva una vita molto meno varia e più logorante. Passare decine di ore a settimana a sgobbare in fabbrica non è decisamente una condizione ideale.

Se come metro di giudizio utilizzassimo la varietà e la ricchezza delle esperienze, allora ecco che concluderemmo che la preistoria fu un periodo migliore.

La vita 🚶‍♂️

Tutto ciò ha un impatto anche sulla vita personale. Quando stabiliamo obiettivi e desideri e facciamo piani per il futuro, dobbiamo stare molto attenti ai parametri su cui li stiamo fondando. Il rischio è di sprecare tempo appresso a obiettivi che non migliorano la qualità della nostra esistenza (e magari la peggiorano).

Le idee cambiano il mondo solo quando cambiano il nostro comportamento

Il mondo è pieno di idee che sappiamo essere giuste. Dovremmo mangiare meglio, inquinare meno, fare esercizio fisico, dormire abbastanza, rispettare l’ambiente, essere grati di quello che abbiamo…

Ma le idee cambiano il mondo solo quando cambiano il nostro comportamento. L’impatto di un’idea sta nella quantità di azione che genera.

In teoria, la teoria e la pratica sono la stessa cosa.

Il libro propone un esempio un po’ più imponente di quelli che ho accennato qui sopra: l’Umanesimo.

La rivoluzione umanista non è stata puramente filosofica. Ha cambiato il mondo perché ha fornito, e fornisce ancora oggi, delle indicazioni pratiche su come agire.

Prima dell’Umanesimo la principale fonte di orientamento era il testo sacro: Bibbia, Corano, etc. Con l’Umanesimo la fonte è diventata l’essere umano stesso: egli è al centro ed è la guida su cui basiamo le nostre scelte e azioni. Il benessere dell’uomo, i “diritti inviolabili” dell’uomo, sono alla base delle nostre società.

In generale potremmo dire che la conoscenza cambia il mondo solo quando si traduce in comportamenti. A vederla sembra un’idea banale, scontata. Eppure la mettiamo pochissimo in pratica, a conferma della stessa.

C’è un fenomeno molto diffuso che consiste nel diventare consumatori seriali di contenuti di crescita personale, senza poi però mettere niente in pratica.

In teoria sappiamo che senza cambiare quello che facciamo non cambierà niente, ma in pratica…

Menti Tribali

Auto-illusione di ragionevolezza

La gran parte delle nostre azioni, decisioni, pensieri, scaturiscono nella nostra parte istintiva. Nel libro questa viene soprannominata l’“elefante nel cervello”. È la parte che ha avuto più tempo evolutivo per svilupparsi e che di conseguenza è molto più influente della nostra giovane parte razionale.

Quando abbiamo sviluppato ragionamento e linguaggio il nostro cervello non è stato riorganizzato e stravolto, ma ha piuttosto sviluppato un “portatore” (la parte razionale) che ha il compito di servire l’elefante.

Una delle mansioni più importanti del portatore è creare spiegazioni post hoc per ciò che l’elefante ha fatto e motivazioni per ciò che vuole (o non vuole) fare.

I pazienti split-brain 🧠

Questo fenomeno è stato osservato chiaramente nei pazienti split-brain.

Il corpo calloso collega i due emisferi del cervello. A metà del secolo scorso veniva reciso nei pazienti epilettici per contrastare i sintomi della patologia, dato che non c’erano altre soluzioni efficaci. Ciò però significava che i due emisferi smettevano di comunicare e le parti destra e sinistra del corpo risultavano indipendenti l’una dall’altra perché controllate ognuna da un emisfero diverso.

La capacità di linguaggio risiede nell’emisfero sinistro che però, venendo a mancare la comunicazione, non aveva più idea di cosa facesse la metà del corpo da controllata dal destro.

A un soggetto venne chiesto di indicare la scheda illustrata più simile alle immagini che aveva visto. L’emisfero destro ordinò alla relativa mano di indicare l’illustrazione di una pala da neve, dato che gli era stato mostrato un paesaggio innevato. L’emisfero sinistro indicò l’immagine di un pollo, dato che gli era stata mostrata una zampa di gallina.

Quando lo sperimentatore chiese “Perché ha indicato sia il pollo che la pala?” il soggetto rispose “Be’, la zampa di gallina appartiene al pollo, e la pala serve per pulire il pollaio.”

Spiegazione plausibile, ma totalmente inventata.

Nella vita 🚶‍♂️

I pazienti split-brain sono casi estremi, ma processi simili avvengono nella nostra testa tutti giorni. Il problema è che noi stessi crediamo alle storie che inventiamo. Basta pensare alle scuse (sempre pronte) che ci raccontiamo quando non vogliamo fare qualcosa. Procrastiniamo dicendo “domani sarò più motivato”, “domani avrò più tempo”: ci sembra ragionevole, ma è anche falso.

Familiare = buono

Nel 1980 Robert Zajonc, uno psicologo sociale, condusse una serie di esperimenti per provare che le reazioni affettive precedono i ragionamenti.

In questi esperimenti chiese ai soggetti di valutare cose rare come pittogrammi giapponesi, parole di una lingua inventata, forme geometriche. Come esseri umani siamo in grado di rispondere a strambe domande di questo tipo perché proviamo reazioni affettive per quasi tutto ciò che vediamo.

Una delle cose interessanti fu che Zajonc riuscì a influenzare le valutazioni semplicemente variando la frequenza di esposizione agli oggetti in questione. In particolare ai soggetti piacevano di più le cose che avevano visto più volte.

Questo fu chiamato effetto della semplice esposizione che, in parole povere, significa che tendono a piacerci di più le cose che ci sono familiari.

È solo uno dell’infinità di bias che abbiamo.

Probabilmente questo bias si è sviluppato perché, durante la nostra storia evolutiva, tutto ciò che ci era familiare tendeva a essere anche più sicuro. Al fine della sopravvivenza era un rischio, per esempio, provare a mangiare un fungo mai visto prima.

Questo principio viene sfruttato largamente dalla pubblicità. Siamo tutti spinti a pensare che le marche famose siano migliori e siamo quindi disposti a pagare prezzi più alti.

A starci attenti ci si rende conto che una buona fetta della pubblicità non ha lo scopo specifico di farci conoscere un prodotto nuovo, ma semplicemente di ricordarci che quel brand esiste.

Lo sapevate che Coca Cola esiste?

Lo sapevate che Coca Cola esiste?

Ci interessa apparire giusti più che esserlo

Come esseri umani abbiamo intuizioni morali che, con tutta probabilità, si sono evolute per farci collaborare in gruppi. Queste intuizioni morali ci spingono a comportarci in maniera “giusta” per apparire tali.

È chiaro che, perché un gruppo funzioni, i comportamenti egoistici che vanno contro gli interessi del gruppo debbano essere limitati. Le intuizioni morali ci spingono a punire i comportamenti che le contraddicono. La legge del Karma è integrata nel nostro essere umani: ci piace che i comportamenti sbagliati vengano puniti.

Per poter esserci una punizione, però, è prima necessario che il comportamento egoistico sia riconosciuto.

È quindi importante apparire giusti, più che esserlo. Anzi, rimanere egoisti avvantaggia la sopravvivenza. Se riesco a sfruttare sia il vantaggio di stare in gruppo —apparendo giusto— sia il vantaggio di essere egoista —comportandomi da tale quando nessuno mi guarda— allora le mie chance di sopravvivenza saranno maggiori.

Haidt afferma che le evidenze ci portano a concludere che siamo in gran parte esseri egoisti, che si comportano in maniera diversa se sanno di non essere osservati.

Senza minaccia di punizione tendiamo a tornare egoisti.

Parlavo di una cosa simile qualche tempo fa su Twitter:

La forza della legge sta nel suo effetto deterrente. Se questo effetto viene meno, perché le punizioni non ci sono o non vengono applicate, le uniche persone che continueranno a seguire la legge sono quelle che l’avrebbero fatto comunque.

Solo agli psicopatici non interessa il pensiero degli altri

Certe persone affermano che non gli interessi cosa pensino gli altri di loro. Nella nostra società, affermare il contrario significa mostrarsi deboli.

Sembra però che questa convinzione sia falsa, come evidenziato in un esperimento condotto da Mark Leary.

Nell’esperimento ogni soggetto doveva parlare di sé per 5 minuti. Ogni minuto riceveva un voto che indicava l’interesse di una persona esterna che il soggetto non vedeva.

Questi voti però erano truccati da Leary stesso, che li alzava e abbassava a suo piacimento.

Risultò che chi aveva detto di non basare la sua autostima sul giudizio degli altri aveva avuto reazioni analoghe a chi invece aveva ammesso di esserne molto influenzato. La conclusione fu che l’interesse per l’opinione che gli altri hanno di noi risiede a un livello inconscio.

I sedicenti anticonformisti potevano anche lasciarsi guidare dalle proprie bussole personali, certo, ma non avevano capito che l’ago di quelle bussole non puntava verso nord: puntava verso l’opinione pubblica.

Le uniche persone che sono prive dell’interesse per il pensiero degli altri sono gli psicopatici.

Siamo in piccola parte “gruppisti”

Dicevamo sopra che siamo in gran parte egoisti. Ma è altrettanto vero che siamo in piccola parte gruppisti.

Siamo per il 90% scimpanzé e per il 10% api

Ci piace far parte di gruppi e infatti entriamo in club, squadre, leghe, associazioni. In questi gruppi siamo portati per natura a lavorare con estranei verso obiettivi comuni. Le nostre menti hanno tutta una serie di meccanismi che ci inducono a cooperare all’interno del nostro gruppo nella competizione con gli altri gruppi.

Per questo spesso sembriamo altruisti.

Per esempio siamo portati a provare empatia non per tutti indistintamente, ma più per chi è nostro simile: per chi si conforma alla nostra stessa impostazione morale.

Noi tutti siamo risucchiati in comunità morali tribali. Gravitiamo attorno a valori sacri e condividiamo argomentazioni post hoc sul perché noi abbiamo ragione e gli altri torto. Pensiamo che nell’altro schieramento siano tutti ciechi alla verità, alla ragione, alla scienza e al buonsenso, ma in effetti siamo tutti ciechi quando parliamo di ciò che ci è sacro.

Questo è uno dei motivi perché moltissime questioni diventano problemi di tifo. La politica, per esempio, assomiglia spessissimo più una lotta tra squadre, che non a un dibattito razionale e meditato che ha lo scopo di aumentare il benessere della comunità.

Il Cigno Nero

Aiuta la fortuna ad aiutarti

Uno dei fattori più decisivi quando si tratta di raggiungere alti gradi di successo è la fortuna.

Una frase di questo tipo potrebbe indurci a demoralizzarci e lasciare perdere ambizioni e impegno. In realtà questa è la strategia opposta a quella che dovremmo impiegare.

La fortuna non basta da sola. La pioggia non serve a nulla se il terreno non è coltivato e serve ancora meno se non c’è nessuno a raccogliere gli eventuali frutti.

Prendete Bill Gates, uno degli uomini più ricchi al mondo. Ebbe la fortuna di trovarsi in una delle prime scuole dotate di computer. Ma non fu certamente il solo e degli altri che condivisero la stessa o simili fortune quanti sono stati poi in grado di sfruttarla tanto bene?

E la strategia consiste quindi nel cercare di massimizzare le opportunità di incontrare la fortuna. Massimizzare la “serendipità” mettendosi in situazioni favorevoli.

Per usare la terminologia di Thaleb, bisogna massimizzare la probabilità di imbattersi in cigni neri positivi: cioè mettersi in situazioni in cui il potenziale favorevole sia sproporzionatamente più grande del potenziale negativo.

Alcune idee che mi vengono in mente personalmente:

  • Impegnarsi per diventare competenti Dato che senza la competenza la fortuna non serve
  • Procedere in maniera iterativa: per prove ed errori Più tentativi facciamo e più abbiamo l’occasione che uno vada estremamente bene
  • Pubblicare contenuti Aumenta la nostra visibilità tramite quel catalizzatore incredibile che è internet

La prevenzione è superiore alla cura ma viene premiata meno

Immaginiamo il seguente scenario, sono sicuro che ci riusciremo senza troppi sforzi.

Immaginiamo che si sia diffuso un microrganismo potenzialmente letale a partire da un pipistrello. È scoppiata una pandemia. Dopo mesi in questa situazione siamo tutti scontenti e quasi in preda al caos perché ci siamo ritrovati costretti a misure drastiche che limitano la vita per come siamo abituati a conoscerla.

Immaginiamo però che domani uno scienziato trovi una soluzione, per esempio una cura. Una semplice pillolina che elimina qualsiasi effetto nocivo del suddetto microrganismo. 💊

Con buone probabilità ci sarebbe un enorme contentezza. Saremmo euforici. Ci sarebbero conferenze stampa, complimenti, forse premi. Certo, la pandemia ha causato disastri enormi, sofferenze, recessioni economiche, morti. Ma ora siamo salvi. Grazie.

Ora immaginiamo un’altra situazione.

Un signore solitario, qualche giorno dopo aver mangiato un pipistrello neanche tanto buono, si inizia sentire male. Non respira bene e ha perso quasi totalmente il senso del gusto.

Va dal suo amico medico, uno molto bravo. Quest’ultimo rimane colpito dalla combinazione di sintomi. Prende un campione di muco e consiglia all’amico di stare a casa senza nessun contatto fino a qualche giorno dopo la fine dei sintomi. Così, a scopo puramente preventivo.

Manda il campione ad analizzare per sicurezza e, sempre a scopo puramente preventivo, prende qualche giorno di vacanza —se lo merita, non ne prende mai— ed evita i contatti.

Dalle analisi si scopre che quel muco conteneva un nuovo microrganismo per il quale non esiste nessuna cura. Chissà cosa potrebbe succedere se si diffondesse! Ma entrambi gli amici rispettano le indicazioni e il microrganismo scompare.

La notizia arriva al giornale locale. Le viene riservato un trafiletto a pagina 12. Quasi nessuno nel mondo saprà mai che questa storia si è svolta.

Gioia? Celebrazioni? Complimenti? Niente di tutto questo.

Eppure quel medico geniale ha sventato una pandemia che avrebbe causato disastri enormi, sofferenze, recessioni economiche, morti.

Prevenire è meglio che curare

Questa è la grande differenza tra prevenzione e cura. La prevenzione ha un impatto enormemente più positivo della cura, ma al tempo stesso viene riconosciuta e premiata molto meno. È praticamente invisibile.

Nella pratica della nostra vita ciò si traduce nella sottovalutazione della prevenzione.

Non stiamo attenti alla dieta e ingrassiamo. Poi ci viene un infarto.

Spendiamo tutto e non impariamo mai a risparmiare. Poi la perdita di lavoro ci lascia sul lastrico.

Etcetera etcetera.

La non linearità domina il mondo

Al nostro piccolo cervellino viene facile comprendere le relazioni lineari. Se cammino il doppio di ieri, oggi percorrerò il doppio della strada.

La gran parte del mondo, però, è fatta di relazioni non lineari. Anche se quelle lineari sono più facili da capire, costituiscono solo una piccola parte dei casi reali.

La pasta fa schifo senza sale, ma fa schifo anche con troppo sale. La relazione tra bontà della pasta e quantità di sale non è lineare. 🍝

Negli investimenti il guadagno segue la legge esponenziale dell’interesse composto. Più guadagniamo e più il capitale investito aumenterà e più aumenterà di conseguenza il guadagno.

La forza dell’interesse composto

La forza dell’interesse composto

Dato che il nostro cervello non è pratico di relazioni non lineari, spesso conviene fermarsi un attimo a riflettere, come nel caso degli investimenti. Intuitivamente non daremmo così tanto peso al tempo trascorso. Tendiamo a pensare di “non avere abbastanza soldi per iniziare a investire”.

Eppure è meglio iniziare a investire presto piuttosto che perdere tempo aspettando di avere abbastanza denaro. (E poi, quanto sarebbe esattamente questo abbastanza?)

Il bias del sopravvissuto

Se volessimo scoprire il segreto per diventare ricchi, con tutta probabilità andremmo prendere un insieme di milionari per osservare cosa li accomuna. A fine ricerca, dopo innumerevoli interviste e tuffi in biografie, ci sentiremmo legittimati a concludere che i tratti comuni che abbiamo individuato favoriscono l’ascesa verso la ricchezza.

È veramente una deduzione legittima?

Assolutamente no.

Se vogliamo capire cosa porta i ricchi a diventarlo, dobbiamo analizzare non cosa li accomuna tra di loro, ma cosa li distingue da chi ricco non ci è diventato.

Il bias in cui siamo caduti si chiama bias del sopravvissuto e consiste nel prendere in esame un campione che contiene solo i sopravvissuti —i ricchi nel nostro caso— e che quindi non è un campione rappresentativo.

È un bias insidioso perché i non-sopravvissuti sono spesso invisibili.

Ne ho già parlato in un breve video, se preferite quel medium.

Diffidate da chi, pur avendo avuto successo lui stesso, vi porta la sua esperienza come prova per vendervi un metodo “che funziona”. Chiedetevi: anche se lui è “sopravvissuto” quanti altri hanno impiegato metodi simili senza per questo arrivare agli stessi risultati?

Attenzione alle conseguenze invisibili

Uno dei tanti ostacoli che impoverisce la nostra capacità di prendere decisioni è la cecità alle conseguenze invisibili. Quando dobbiamo fare una scelta, è facile valutare le conseguenze ovvie e dirette. Ma esiste anche un insieme di conseguenze meno ovvie e indirette che non per questo sono meno rilevanti.

Un esempio eclatante di questo fenomeno sono le leggi per la protezione dei posti di lavoro. Quando un governo promulga una legge di questo tipo la conseguenza ovvia e immediata è che certe persone non perderanno il lavoro. La conseguenza invisibile è che ci saranno altre persone che non riusciranno a trovare lavoro perché l’offerta si riduce.

Sono venuto a contatto con questo concetto molto tempo fa, ben prima di leggere Il Cigno Nero, e posso dire che è uno degli insegnamenti che più mi sono rimasti impressi.

Una delle sue incarnazioni più popolari è l’opportunity cost. Quando scegli un’alternativa stai allo stesso tempo pagando il costo di non averne scelto un’altra. Questo costo sarebbe da tenere in considerazione quando prendiamo delle decisioni.

Esempio banale: potresti scegliere di dedicarti personalmente alla pulizia della casa piuttosto che pagare qualcuno che lo faccia per te. Quel tempo che impieghi a pulire, però, stai anche scegliendo di non usarlo per fare una qualsiasi altra cosa, tipo lavorare su un tuo progetto, stare con i tuoi cari, studiare per aumentare le tue competenze.

È vero che non stai pagando direttamente la pulizia, ma stai comunque indirettamente pagando il costo di opportunità, che può essere monetario o meno.


Leggete ragazzi miei. Leggete, che vi fa bene.