Menti Tribali — Jonathan Haidt | Appunti

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Cosa ne penso 💭

Un libro sull’essere umani. Dalla prospettiva della moralità e quindi della collaborazione tra individui.

Pieno di insegnamenti e consigliatissimo a chiunque voglia capire perché gli esseri umani tendano a sembrare così divisi tra loro, come se fosse una continua lotta tra squadre.

Per quanto mi riguarda, il concetto che più mi ha lasciato impresso è quello delle intuizioni morali.

Ci si interroga se la morale sia innata o se sia un fenomeno culturale. Haidt, partendo da vari studi sull’argomento, conclude che sia un mix di fattori. Esiste una parte istintiva fatta di intuizioni morali su cosa sia giusto o sbagliato. Queste poi, inserite in contesti culturali diversi, danno vita a norme morali diverse.

Abbiamo tutti le stesse intuizioni, ma le norme derivanti saranno diverse se siamo cresciuti in India o negli Stati Uniti.

Le mie note 📓

Come prescritto dal metodo Zettelkasten le note sono interconnesse tra loro.

Metafora del portatore e dell’elefante

Il cervello è un’entità duale, rappresentabile come un elefante e il suo portatore. L’elefante è la parte istintiva, mentre il portatore quella razionale.

L’elefante è grosso e forte ed è la parte più influente. Il portatore invece ha il compito di servire l’elefante. Lo fa per esempio, agendo come se fosse un portavoce.

Il portatore trova giustificazioni per i comportamenti dell’elefante

Il portatore è bravo a trovare scuse/giustificazioni/razionalizzazioni per ciò che l’elefante ha già fatto (ergo post-hoc) o vuole fare. Non importa se queste motivazioni siano fondate o meno.

Esempi pratici:

  • Procrastiniamo e troviamo scuse tipo: “domani sarò più motivato”, “domani avrò più tempo” (hyperbolic discounting)
  • Proviamo a difendere le nostre intuizioni morali sul piano razionale, per esempio tirando in causa presunti danni che in realtà non ci sono. Invece semplicemente le intuizioni morali precedono il ragionamento strategico.

Le intuizioni morali precedono il ragionamento strategico

I nostri valori morali derivano da intuizioni per cui siamo predisposti geneticamente. A volte pensiamo che siano giustificabili razionalmente, per esempio con il principio del danno (ciò che danneggia gli altri è immorale), ma non è così.

Sperimentalmente si vede che rifiutiamo come immorali situazioni in cui non si perpetua un danno a nessuno.

Prima infatti arrivano istintivamente le intuizioni morali e solo dopo le razionalizzazioni che servono per giustificarle.

Per esempio a 30 studenti venne chiesto:

Julie e Mark, sorella e fratello, viaggiano insieme in Francia durante le vacanze estive. Una notte rimangono da soli in una capanna vicino alla spiaggia e decidono che sarebbe interessante e divertente se provassero a fare l’amore. Se non altro sarebbe un’esperienza nuova per entrambi. Julie prende già la pillola, ma Mark usa anche un preservativo, tanto per essere sicuri. L’esperienza appaga entrambi, ma decidono di non ripeterla. Conservano quella notte come un segreto speciale, che li fa sentire ancora più vicini. Che cosa ne pensi? È sbagliato che abbiano fatto sesso?

L'80% degli studenti rispose che fosse sbagliato.

Lo sperimentatore chiese quindi perché questa situazione fosse ritenuta immorale. Però, le spiegazioni fornite in risposta finivano sempre per non essere valide logicamente. Del resto la storiella era costruita appositamente affinché non ci fosse possibilità di creare un danno per alcuno.

Eppure i partecipanti raramente cambiavano idea anche se le loro spiegazioni venivano dimostrate invalide.

Ci piace ciò che ci è familiare

Ci tendono a piacere di più le cose che ci sono più familiari. Non serve neanche che le conosciamo a fondo, ma semplicemente che ci siamo stati esposti di più. L’effetto della semplice esposizione è un principio base della pubblicità.

Per esempio Robert Zajonc notò tramite alcuni esperimenti che ai soggetti piacevano un po’ di più alcune cose solo perché vi ci erano stati esposti parecchie volte.

In questi esperimenti chiese di valutare cose rare come pittogrammi giapponesi, parole di una lingua inventata, forme geometriche. Vide che riusciva a far piacere di più certe cose semplicemente esponendovi di più i soggetti.

Ciò si può spiegare pensando che, evolutivamente parlando, fidarsi del conosciuto probabilmente porta a chance maggiori di sopravvivenza.

Solo agli psicopatici non interessa il pensiero degli altri

Spesso certe persone dicono che non gli interessa cosa pensano gli altri di loro. In generale ciò è fatto per mostrarsi forti, ma è una convinzione errata, come evidenziato da un esperimento di Mark Leary.

Nell’esperimento ogni soggetto doveva parlare di sé per 5 minuti, ricevendo ogni minuto un voto che indicava l’interesse di una persona esterna che lui non vedeva. Ovviamente Leary truccava i voti alzandoli e abbassandoli a suo piacimento.

Si vide che chi aveva detto di non basare la sua autostima sul giudizio degli altri aveva avuto reazioni analoghe a chi invece aveva ammesso di esserne molto influenzato.

La verità è che solo agli psicopatici non interessa realmente.

Gli esseri umani sono in gran parte egoisti

Come esseri umani siamo in gran parte egoisti. Generalmente ci interessa apparire giusti piuttosto che esserlo realmente.

Ci comportiamo diversamente se sappiamo che nessuno ci sta guardando.

Siamo inoltre ipocriti perché benché aggiriamo le regole etiche se pensiamo che non ci siano conseguenze, comunque creiamo ragionamenti a posteriori per illuderci di essere virtuosi. In sostanza il portatore trova giustificazioni per i comportamenti dell’elefante.

Gli esseri umani sono in piccola parte gruppisti

Per una piccola parte siamo gruppisti, che significa che ci piace far parte di gruppi e nell’ambito di questi gruppi non abbiamo problemi a cooperare.

È importante sottolineare la ristrettezza di questi gruppi. Per esempio il gruppo “tutti gli esseri umani” è troppo esteso e non rientra in questo discorso.

Inoltre non specchiamo (nel senso di neuroni specchio) né proviamo empatia per tutti allo stesso modo, ma più per chi aderisce al nostro stesso sistema morale.

Haidt avanza l’ipotesi che questa componente gruppista si sia sviluppata per selezione di gruppo, a partire dal momento in cui gli esseri umani sono diventati ultrasociali.

Suggerisce anche che ci sia un interruttore gruppista che ci fa arrivare a uno stato in cui ci sentiamo immersi nel gruppo e smettiamo di pensare alla nostra individualità.

Alcuni modi per accedere a questi sentimenti fuori dall’ambito del gruppo sono: il timore reverenziale per la natura, i rave party, l’uso di allucinogeni.

Gli esseri umani sono diventati ultrasociali

Degli organismi si dicono ultrasociali se vivono in grandi comunità in cui beneficiano della divisione del lavoro, come le api o le formiche.

Gli esseri umani hanno sviluppato l’intenzionalità condivisa e sarebbero diventati ultrasociali per via del fatto che si sono ritrovati con un nido comune (la caverna) da difendere. Ciò costituisce una grande transizione evolutiva perché un obiettivo di sopravvivenza comune avvia una selezione di gruppo.

Autori come Richard Dawkins, dall’altra parte, sostengono che non ci sia stata selezione di gruppo a livello di gruppi di individui.

Gli esseri umani hanno sviluppato l’intenzionalità condivisa

Secondo Michael Tomasello gli esseri umani si sono differenziati dagli altri esseri viventi quando hanno acquisito la capacità di condividere intenzioni. Sono infatti in grado di condividere immagini mentali di un obiettivo comune e ciò li aiuta a collaborare per raggiungerlo.

Sperimentalmente si vede che altri animali, come per esempio le scimmie, non sono in grado di collaborare in tal senso.

Sarebbero quindi nate intuizioni morali che servivano a punire chi beneficiava dei risultati senza partecipare a conseguirli. È per questo che una delle intuizioni morali di base è il principio di correttezza-inganno.

Inoltre, sempre secondo Michael Tomasello, la nascita dell’intenzionalità condivisa sarebbe più rilevante nella nostra storia evolutiva rispetto alla nascita del linguaggio, perché una parola non è altro che un accordo tra persone per cui si associa un suono a un’entità. Una parola è quindi un’associazione condivisa.

Un obiettivo di sopravvivenza comune avvia una selezione di gruppo

Si ha una grande transizione quando si passa da individui indipendenti a un agglomerato con un obiettivo di sopravvivenza comune. Dal momento della transizione in poi entra in gioco un nuovo livello di selezione di gruppo.

Per esempio i geni del corpo umano, potendosi trasmettere solo tramite il gamete, si sono evoluti per programmare strutture che cooperano. Aumentare le probabilità di sopravvivenza dell’agglomerato significa aumentare le probabilità di trasmissione dei singoli geni. In questo caso il “gruppo” è l’insieme dei geni nel corpo umano.

Haidt sostiene che sia avvenuta la stessa cosa quando gli esseri umani sono diventati ultrasociali. Da quel momento in poi è entrata in gioco la selezione di gruppo a un nuovo livello, in cui il gruppo è un insieme di esseri umani.

Geni e cultura possono coevolvere

Ci sono delle prove che dimostrano che negli ultimi 50.000 anni le modifiche genetiche sono andate aumentando. Se è così, non è inverosimile che ci sia stata una coevoluzione di cultura e intuizioni morali per via della selezione di gruppo iniziata quando gli esseri umani sono diventati ultrasociali.

Un esempio di coevoluzione di geni e cultura è la storia della lattasi. La lattasi è l’enzima che permette di digerire il lattosio. È presente nei bambini, ma rimane solo in quegli adulti che sono geneticamente predisposti.

Come potrebbe essere andata la coevoluzione nel caso della lattasi:

  • (Culturale) Quando abbiamo iniziato ad allevare, il latte è diventato un alimento disponibile anche dopo lo svezzamento.
  • (Genetica) Quegli individui per cui la lattasi durava più a lungo erano più avvantaggiati.
  • (Culturale) A sua volta, più persone erano in grado di digerire il lattosio, più si “investiva” nel latte, producendone di più e inventando i derivati.

La personalità sembra essere maggiormente influenzata dai geni che dall’ambiente

Da alcuni dati sembra che i geni abbiano un’influenza maggiore sulla personalità rispetto all’ambiente in cui si cresce.

In alcuni casi studiati, gemelli identici cresciuti in famiglie diverse (adozioni) risultavano simili sotto quasi ogni aspetto, mentre bambini cresciuti nella stessa famiglia ma senza legami di sangue somigliavano più ai genitori biologici che l’un l’altro o ai genitori adottivi.

Sembra che i geni predispongano il cervello a essere più o meno sensibile a certi stimoli, come le minacce o il piacere delle novità. Ciò potrebbe portare a una predisposizione naturale a essere più di destra o di sinistra.

Il capitale sociale

Il capitale sociale è l’insieme dei legami tra individui e i conseguenti rapporti di reciprocità e fiducia.

Chi fa parte di una società WEIRD (White Educated Industrialized Rich Democratic) tende più a vedere le cose come entità singole, senza guardare alle relazioni tra di esse.

Pensare al concetto di capitale sociale può aiutarci a prestare attenzione a questi legami che di solito ci lasciamo sfuggire; legami che rendono le persone più produttive.

Principio di correttezza-inganno

Istintivamente non ci piace che qualcuno benefici di un risultato senza aver collaborato a raggiungerlo. Vogliamo che le ricompense siano proporzionate ai contributi: guardiamo male chi non ha contribuito a portare l’acqua ma l’ha solo bevuta.

Inoltre ci sentiamo meglio quando viene inflitta una punizione a seguito di un comportamento che riteniamo sbagliato. Ci piace il “Karma” e siamo disposti a dagli una mano: facendo in modo che chi sbaglia sia punito.

Dal principio di proporzionalità si deriva quello dell’uguaglianza. La maggior parte delle persone, infatti, vogliono l’uguaglianza solo quando tutti contribuiscono allo stesso modo, che quindi significa proporzionalità.

La religione è un sottoprodotto dell’evoluzione

Secondo i nuovi atei, tipo Richard Dawkins e Daniel Dennett, la religione è un sottoprodotto dell’evoluzione. In particolare non conferisce vantaggi agli esseri umani, ma si diffonde come insieme di Meme che si riproducono ed evolvono a scapito degli esseri umani.

Potrebbe per esempio essere un’esagerazione dei falsi positivi generati dal nostro sistema di riconoscimento degli agenti.

Biologicamente abbiamo sviluppato tale capacità per capire velocemente se un evento sia stato causato da qualcuno o no. Ciò è utile alla sopravvivenza perché serve a identificare la presenza di un altro essere vivente che potrebbe costituire una minaccia (e.g. un predatore).

Questo sistema evolve nella direzione dei falsi positivi. Falso positivo significa vedere un agente dove non ce n’è, ma ciò non influenza la probabilità di sopravvivere. Falso negativo significa invece non riconoscere un agente che c’è, il che può essere pericoloso.

Secondo altri invece l’evoluzione della religione è solo culturale.

L’evoluzione della religione è solo culturale

Secondo Scott Atran e Joe Henrich le religioni tengono uniti i gruppi, ma sostengono che l’evoluzione delle religioni è stata solamente culturale. Dicono che le religioni si evolvono molto più rapidamente dei geni.

Inoltre l’evoluzione delle religioni è avvantaggiata rispetto a quella dei geni, perché una religione può essere adottata anche dai popoli confinanti o dalle popolazioni sconfitte, diversamente dei geni che non “sconfinano”.

Secondo altri invece la religione è un sottoprodotto dell’evoluzione.

In ogni caso, l’unica correlazione tra la religiosità e i benefici morali appare nel tempo speso con i “compagni di religione”. In sostanza l’altruismo viene accentuato da amicizie e attività di gruppo svolte in un contesto che ha una matrice morale.

Non sarebbe la religione in sé a generare altruismo, ma la tendenza naturale dell’essere umano a essere altruista quando si trova in un gruppo con cui condivide un’impostazione morale: gli esseri umani sono in piccola parte gruppisti.