La storia fa schifo
Serve a qualcosa?
Yo peeps, benvenuti ai nuovi e bentornati ai vecchi nella ProtoNewsletter, il posto in cui condivido spunti, deliri, idee, e ogni tanto consigli di dubbia utilità.
Come da titolo, oggi vi parlo della storia che fa schifo, dei miei trascorsi in proposito, e della fatidica domanda sulla sua utilità.
Tra tutti gli argomenti di cui sono schifosamente ignorante, la storia occupa un posto di rilievo. Per quanto mi ricordo, la materia era presente nella didattica di tutti gli anni, ma, a dispetto di ciò, sembra non mi sia rimasto granché in testa. Mi verrebbe facile criticare per questo la scuola, cosa che tra l’altro è un passatempo che trovo delizioso. Questa volta però vorrei evitare di fare finta che le mie mancanze derivino (unicamente) dal sistema d’istruzione.
Nel periodo della mia vita tra banchi, alunni, e professori, al solo pensiero di dovere aprire il libro di storia mi sentivo avvolgere da un sincero effetto repellente. Non ne sono sicuro, ma, se dovessi scommettere, direi che il picco di insofferenza risale ai tempi del liceo: per me l’ultimo blocco educativo in cui la storia appariva tra gli insegnamenti obbligatori.
In classe, negli ultimi anni, eravamo “organizzati” a turni, per fare in modo che ci fossero sempre un paio di “volontari” per le interrogazioni. Le virgolette sono d’obbligo perché, come ci si può aspettare da liceali svogliati, l’organizzazione non era sempre perfetta, e quel mondo idilliaco scandito da regolari immolazioni volontarie spesso non coincideva col mondo reale in cui vivevamo (e non nascondo di essere stato anch’io parte del problema). Quel mondo idealizzato forniva appiglio ai miei impulsi a procrastinare, quantomeno finché sapevo che sarebbe toccata a qualcun altro. Rimandavo con gioia lo studio del nostro passato condiviso, salvo poi ritrovarmi, il giorno prima del mio sacrificio, con un notevole ammontare di arretrati.
(Mentre scrivo queste parole mi chiedo se il mio comportamento abbia contribuito alla repulsione. Ma non soffermiamoci su temi di così poca rilevanza. 👀)
Facendomi forza, capitolo dopo capitolo ingurgitavo fatti, nomi, date, e tutte quelle cose che si trovano nei libri che pretendono di fornire una narrazione oggettiva delle vicende umane. Concludendo in bellezza, la mattina dopo mi svegliavo alle ore 6 per dare un’ultima ripassata prima di uscire di casa e andare incontro al mio destino.
Queste indigestioni metaforiche e quasi nauseanti, di solito risultavano in interrogazioni discrete, così che, sebbene l’intera esperienza non fosse l’apice del piacere, i voti non ne risentivano. Il mio spirito procrastinante ne usciva rafforzato e ciò poneva quindi le basi per l’eterno ritorno di questo circolo vizioso. Di fatto, questo film è finito solo col diploma, grazie poi alla scelta di rifugiarmi tra le braccia — forse fredde, ma rassicuranti — di una facoltà fatta di matematica, fisica, e informatica: un universo preciso e consequenziale, lontano dal turbinio nebuloso delle cose umane.
Dall’università in poi, la mia storia con la storia consiste in un digiuno quasi totale, interrotto in poche occasioni e per breve tempo, a causa di qualche libro trovato raccomandato abbastanza caldamente da spingermi a leggerlo. È così che sono finito a conoscere my boy Yuval Noah Harari, un fottuto storico. L’esistenza di questo personaggio dimostra che anche gli storici di professione hanno qualche speranza di produrre testi che non inducano uno sbriciolamento spontaneo delle gonadi maschili.
Tra le idee a cui Harari mi ha fatto avvicinare, c’è una (per me) nuova risposta alla domanda: ma a che cactus serve la storia? La replica che ho sentito ripetere più spesso assume una grande fiducia nella specie umana e parla tipo dell’importanza di conoscere il passato per non ripetere errori già commessi.
Il problema di questo discorso è che vola troppo alto per i miei gusti: dà un’indicazione che ha senso su un piano macro-sociale a livello di coscienza collettiva (ammesso che esista qualcosa del genere). Se, in quanto società, siamo consapevoli di come sono andate le cose, forse avremo qualche strumento in più per muovere la nostra vita di gruppo verso una qualche forma di benessere.
Sì, ok bro, ma io che cosa me ne faccio? Senza ricorrere ad allucinogeni, sono costretto a percepirmi limitato al mio corpo e, anche sotto effetto, posso solo agire da individuo. Capisco le menate collettive, ma il discorso mi rimane distante e intangibile.
È qui che arriva mastro Harari a servirmi una risposta alternativa — non so se più pratica, ma sicuramente più affascinante per il sottoscritto. L’amico Yuval dice che la storia non è molto efficace per prevedere il futuro, ma serve piuttosto a emanciparsi dall’influenza del passato. Capite che, in quanto creatura affezionata alla libertà, non posso far altro che guardare con interesse a un discorso che mi promette emancipazione.
Studiare la storia permette di risalire, se pur non in maniera perfetta, alle origini della cultura, la quale è una delle influenze più imponenti su ciò che pensiamo e vogliamo. Conoscere le ragioni alla base delle mie credenze mi aiuta a superarle. Non mi dice cosa scegliere, ma allarga il ventaglio delle opzioni visibili.
Potrei scoprire, per esempio, che il desiderio di possedere un prato in cortile discende dalla volontà della borghesia del XIX secolo di sfoggiare un simbolo di potere, status, e ricchezza. Fino a quel momento, infatti, i prati erano prerogativa delle classi più abbienti, che potevano permettersi il lusso di possedere un terreno non solo improduttivo, ma che richiedeva risorse e lavoro. A fronte di questa consapevolezza, la voglia di una casa con giardino può acquisire un sapore diverso (in un senso o in un altro).
Sotto questa luce, i benefici di studiare le cronache umane mi appaiono più rilevanti. Non ne ho ancora una voglia matta, ma nutro almeno un germoglio di interesse. Sarebbe stato ideale averlo e coltivarlo a scuola, quando c’era del tempo allocato forzatamente per la materia, ma non credo che i discorsi che mi muovono oggi avrebbero avuto la stessa presa sul sedicenne che ero.
In ogni caso, il punto è che ho intenzione di rimediare alla mia ignoranza e cerco idee. Ho già deciso di rileggere Sapiens, ma non so su cos’altro buttarmi. Con le premesse che ho fatto, sarà facile comprendere perché fatico a mettermi nei panni di chi la storia la ama a tal punto da cercarla anche nello svago, in libri, film, serie tv, podcast, e bla bla bla.
Pensandoci, però, proprio l’intrattenimento potrebbe fungere nel mio caso da cavallo di Troia, e aiutarmi ad assorbire qualche conoscenza e accrescere la curiosità. In realtà ho già provato un paio di volte, iniziando Baudolino e L’isola del giorno prima, ma penso di essere ancora lontano dal possedere la sensibilità adeguata ad apprezzarli. Forse potrei partire da qualcosa di più immediatamente attraente per me, tipo qualche anime o videogioco. Forse.
Nel frattempo, qualcuno ha suggerimenti da tirarmi?
Cose
Dopo l’elogio ad Harari non posso che partire consigliandovi i tre libri in cui parla di passato (Sapiens), presente (21 lezioni per il XXI secolo), e futuro (Homo Deus). Leggeteveli.
Invece, per cambiare un po’ argomento vi suggerisco due giochi che ho comprato con la scusa degli sconti: Inside e Gris. (Ho anche comprato Transistor e What Remains of Edith Finch, ma non so se consigliarveli perché ancora non li ho nemmeno avviati.)
Infine, mi sento in dovere di menzionare WesaTwitch, l’unico canale Twitch che seguo da quando ho dato un taglio ai social. Dico in dovere perché è un’influenza importante su quello che penso e, quindi, che scrivo. C’è anche un WesaChannel su YouTube, a cui avevo già accennato in passato.
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Siamo fermamente convinti che tutto esista. Banane, persone, palazzi, nazioni, civiltà, aziende. Ma non tutte le esistenze sono uguali. Un piccolo articolo sulla realtà intersoggettiva:
Non tutto ciò che esiste esiste uguale
Dopo qualche millennio, ho deciso di pubblicare qualcosa sul canale YouTube, e ci ho trasportato la puntata di newsletter che citavo all’inizio di questa:
Poi, l’inverso di quanto sopra, un vecchio video trasmutato in articolo:
Il mondo dell’informazione è pieno di risorse che ci vogliono insegnare a diventare ricchi o di successo partendo dall’analisi di chi ce l’ha fatta. Ha senso?